Diavolerie obbligatorie
Qualche giorno fa è stato presentato un libro di racconti di una scrittrice-giornalista che, alla fine della sua carriera professionale, ormai in pensione, si è dedicata a raccogliere e pubblicare i pensieri di una vita: le sue poesie, le storie che ha inventato, le sue emozioni.
Autorevole la location, nella sala conferenze della Biblioteca nazionale, autorevole il parterre di interventi: critici letterari, giornalisti di primo piano, professori universitari, vertici delle istituzioni culturali. E l’iniziativa è scorsa via nella maniera più classica e prevedibile: recital, esegesi e disamine del testo, citazioni colte e rimandi letterari, il sostrato che influenza l’autrice, il linguaggio narrativo, eccetera eccetera. La cosa era seria e dunque pochi sorridevano.
Tanta cultura, raccontata da chi le cose le sa e le sa dire (chi più e chi meno), di quella cultura che a noi generazioni successive manca in gran parte. Un sapere utile alla società che viene tramandato attraverso i libri ma un sapere che non giunge più a destinatari di generazioni successive. O a pochi di esse. Perchè?
Ad un certo punto del convegno l’autrice, raccontando il suo rapporto con le nuove tecnologie ed esaltando il romanticismo delle vecchie pratiche di scrittura e lettura, definisce “diavolerie” i social network che oggi caratterizzano la nostra società.
Dopo quella frase, la curiosità portò ad approfondire se, oltre a lei, qualcuno dei relatori avesse un profilo facebook o twitter e, manco a dirlo, la ricerca sullo smartphone in tempo reale portò un risultato nullo. Nessuno.
E da lì nacque l’idea di Animarketing!
Il punto di partenza di questa mission è: fin dal dopoguerra e dagli anni del boom economico, a costruire e formare la coscienza e l’identità di un popolo sono stati gli uomini di cultura, i grandi pensatori che hanno regalato il loro sapere all’umanità. All’epoca, libri e giornali erano i principali media che diffondevano questo sapere, e la scuola e le università erano i templi della divulgazione e della formazione. I grandi scrittori avevano la possibilità di pensare, scrivere e veder pubblicate le loro opere, da grandi e piccoli editori. E solo loro avevano l’autorevolezza e la fortuna di diffondere la propria conoscenza.
Oggi no. Già molto cambiò con l’avvento della televisione ma ora più che mai, con internet, con il 2.0 e, ancor più con l’avvento dei social network, la comunicazione e la diffusione del pensiero è completamente rivoluzionata.
Oggi un adolescente come un sacerdote, un medico come la sua infermiera, una professoressa come un suo studente, possono pubblicare e far leggere a migliaia di persone il proprio pensiero. Qualunque esso sia. I giornalisti non hanno più il potere esclusivo di comunicare un fatto al mondo, interpretandolo e offrendone una descrizione quasi sempre mediata.
La digital democracy è la grande realtà del mondo moderno con cui bisogna fare i conti, e la nostalgia non può nulla contro queste “diavolerie”. Ma poi perchè sono “diavolerie”: chi le usa va all’inferno? No, il fatto è che chi le usa oggi ha il grande potere di contribuire a costruire l’identità di un popolo che prima era appannaggio di pochi. Oggi un tweet di 140 caratteri può essere un’intuizione geniale di un qualunque signore che, passeggiando per strada, coglie un piccolo attimo di creatività e lo posta dallo smartphone. Prima non si poteva fare.
Solo Ungaretti poté pubblicare “M’illumino d’immenso” (20 caratteri) e farne una poesia; oggi possono farlo tutti, e si è ridotta la forza di un’intuizione.
Ma sui social c’è anche tanta fuffa, proprio perchè ci stanno in tantissimi e non tutti i pensieri sono degni di interesse. Allora succede che ad influenzare ed a costruire le coscienze, la cultura, hanno maggiore effetto coloro i quali invece conoscono meglio i mezzi, coloro che sfruttano di più queste “diavolerie” e poco importa che scrivano fesserie, hanno tanti amici e tanti follower e quindi tanta forza.
Sono tanti i nuovi “guru” (auto-guru) della società moderna, quelli che conoscono il mezzo ma non sempre il messaggio, mentre gli intellettuali autentici, gli uomini di cultura e di comunicazione restano miseramente al palo. A scapito di tutti.
Allora da Animarketing parte l’appello a tutti questi nostalgici della penna e della carta ad accettare la sfida dell’innovazione: ad aprire profili su facebook, twitter e crearsi blog e siti web. Li linkeremo da qui o semplicemente ne potremo parlare, raccogliendo il loro pensiero e stimolando una discussione che, in fondo, potrebbe aiutare anche nella diffusione di qualche libro in più.
Gianni Lacorazza
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