
Alla fine, c’è chi scolpisce l’anima
A Picerno c’è un cimitero strano. Almeno per me, considerato che non ho certo visto tutti i cimiteri del mondo. E’ strano perché le lapidi sono tutte diverse, soprattutto quelle che campeggiano sulle tombe dei sepolti nella terra nuda. E’ suggestivo però, sembra di stare in una calma confusionaria di idee, di messaggi diversi che i morti vicini si lanciano l’uno con l’altro, di ricordi confusi insieme ma chiari con se’ stessi.
Devi soffermarti vicino ad ogni singola tomba e capisci il perché di ognuna, se le vedi tutte insieme sembra che stai vivendo in una folla urlante. Sembra un cimitero vivo.
Ci sono stato di giorno, la luce sicuramente ha favorito questa percezione non lugubre e triste e quindi l’impatto è stato meno angusto, con la possibilità di un colpo d’occhio d’insieme che, di contro, mi ha maggiormente dato l’impressione di una folla di lapidi ordinate ma diverse, di un silenzio rumoroso.
E mi è piaciuto il cimitero di Picerno. Anche perché ero con un’accompagnatrice particolare, forse la principale responsabile di quella visione o, magari, la persona che ne ha il merito.
Gesualda ha 39 anni, è un’artista, pittrice e scultrice ma in paesi come i nostri questo non è un mestiere sufficiente anche se, a differenza di molti , il suo lavoro comunque non ne tradisce la vena. Il suo laboratorio pullula di materiali e di oggetti d’arte funeraria: marmo e pietra, sculture e lapidi in bassorilievo, ritratti, busti. Pantografo e scalpello in prima fila, poi bozzetti e fotografie tra la polvere: una polvere viva.
Ecco perché è la principale artefice di quel cimitero così singolare. Gesualda oggi ha ereditato il lavoro del padre, Felice, scultore delle anime anche lui; è cresciuta aiutandolo ed oggi, dopo la sua scomparsa, è restata sola a fare questo mestiere. E poiché in un paese di circa seimila anime non ci sono altri concorrenti, la stragrande maggioranza della comunità si rivolge a lei per la lapide di un caro estinto. Tutti conoscono il suo estro e quindi avviene non di rado che le venga commissionata una lapide particolare, non normale, e quindi anche un po’ più costosa. Ma, si sa, in questi casi un sacrificio economico viene spesso considerato come un omaggio al congiunto dipartito.
“La cosa frustrante per te è che non si può certo gioire della tua arte!” le ho detto con un po’ di simpatica cattiveria. Eppure, la sua soddisfazione Gesualda sembra trovarla. Anche se è una soddisfazione silenziosa, spesso frutto della fiducia che i suoi concittadini le dimostrano quando le dicono: “fai tu”, affidando alle sue mani l’ultimo viaggio di un’anima a cui sono legati. E lei lo fa con responsabilità e serenità, anche quando è chiamata a realizzare la sua opera anche per quelle persone scomparse che le stanno particolarmente a cuore. Amici, parenti, persone stimate a cui deve dedicare non una semplice lapide, ma un’emozione. Deve interpretarne la vita per poterne testimoniare la morte. E non è facile.
Per questo i morti del cimitero di Picerno sembra che parlino tra loro, si fanno compagnia; specialmente in quello scorcio in cui mi hanno portato. Laddove il papà Felice si contorna di amici stretti: professori e pastori che siano, nella terra si sorridono uguali ma nelle lapidi conservano una loro identità: a chi la pergamena, a chi la scultura con gli animali. Così si resta sé stessi anche dopo la fine.
Gesualda è un’artista strana. In genere gli artisti vantano il proprio lavoro, sono autoreferenziali e cercano visibilità, eccentrici e a volte schizofrenici. Tanti non hanno la misura della propria capacità e usano a sproposito parole come “arte”, “anima”, “segno”. Lei no, lei ha il compito di acchiappare le anime degli altri prima che vadano via definitivamente e trasformarle in arte. E per farlo, per far lasciare il segno, deve sempre (lei sì) regalare ad ognuno anche un po’ della propria anima.
Gianni Lacorazza
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sicuramente non risaltano distinzioni di ceto tra defunti, ognuno non perde la propria identita’e allo stesso tempo nessuno si impone sugli altri.